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Articolo

Identità e sobrietà: vivere sobria-mente
Lucio Pinkus

1. Oltre la virtù ... e prima della politica
La maggior parte degli studi che riguardano la sobrietà fanno riferimento principalmente a due categorie. La prima, forse quella che risuona con maggior ampiezza, è quella sociopolitica e riguarda l’atteggiamento verso le risorse disponibili includendo quelle naturali (cura dell’ambiente) sino ai problemi che concernono l’economia e la tecnologia.

Tutto questo può riassumersi in una scelta politica che si focalizza nei termini del rapporto tra competizione/mercato e globalizzazione; ed ha assunto la connotazione di realtà chiave che esprime un’ideologia trasversale a tutta questa classe di problemi. Infatti bisogna essere lucidi nel riconoscere che  “siamo davanti alla limitatezza del pianeta da un lato e, dall’altro, ad una espansione illimitata. Da un lato emerge la misura del pianeta, dall’altro assistiamo alla dinamica della dismisura, superando tutti i limiti. Questa è la grande contraddizione dei nostri tempi: la comprensione della globalizzazione, l’ondata dell’espansione illimitata si verificano proprio nel momento in cui i limiti più fisici della terra si fanno sempre più sentire.”
La seconda categoria si rifà a dei concetti etici che includono l’area della filosofia morale e quindi il concetto di virtù oppure quello bioetico, che interfaccia più approcci disciplinari, e si esprime nella responsabilità come condizione per il ben-essere personale e collettivo .
Il limite delle riflessioni sopra riportate è, a nostro parere, quello di non prestare sufficiente attenzione alla soggettività nel contesto antropologico contemporaneo. Infatti, sia la categoria sociopolitica che quella etica in realtà propongono la modifica di uno stile di vita che potrebbe sinteticamente tradursi nella capacità di vivere sobria-mente. E’ evidente però che atteggiamenti e stili di vita possono essere proposti, modificati, acquisiti solo se vengono interiorizzati dalla persona; questo è possibile solamente a livello della mente. Naturalmente il processo di interiorizzazione richiede l’attivazione di sollecitazioni motivanti adeguate. Diversi fattori concorrono a rendere più faticosa questa dinamica motivazionale, ivi incluse alcune “ingenuità” dei movimenti e delle politiche ecosostenibili.
La forza più importante che attiva e mantiene gli stili di vita, a partire dalla loro scelta, sul piano dell’osservazione psicodinamica, conferma che il nucleo vissuto dell’identità non abita più il “Palazzo dell’Essere” (o, se vogliamo, della metafisica) ma, proprio per i cambiamenti avvenuti e quelli in atto, si pone nello scenario dell’ex-sistere, dell’esistere nel contesto e cioè della progettualità della propria esistenza. Qui il soggetto si trova, il più delle volte, di fronte a inadeguatezza di proposte, anche educative  o di politiche dettate da necessità più che da motivazioni ideali ed etiche e perseguite sovente con una lentezza temporale che rasenta l’ambiguità, per cui non le percepisce come incisive sulla propria vita.
Un progetto esistenziale che dia forma all’identità richiede per un verso delle idealità fondate sulla capacità di amarsi e quindi di amare la vita; al tempo stesso esige l’esperienza del limite, non tanto nell’accezione del “luogo” oltre il quale non si deve\può andare, bensì di quel confine oltre il quale non v’è più amore per sé ma distruttività e all’interno del quale si colloca la dimensione temporale e cioè l’ambito della possibilità che ci è data di rendere significativa la nostra presenza nella storia a prescindere da posizioni religiose o meno.
Questa identità è più interessata agli aspetti della physis/natura anziché a quelli “méta/oltre”, perché proprio gli studi fatti sulla natura mediante le tecnologie più avanzate ci offrono gli elementi per strutturare progetti esistenziali forse meno... eroici, ma più perseguibili per il cosiddetto “senso comune”.
Intanto scopriamo che la nostra uguaglianza come persone ha un fondamento genetico e c’è più differenza tra patrimoni cromosomici individuali di quanta ve ne sia tra gruppi etnici o anche nei confronti di primati sub umani. Il comportamento cooperativo e quello prosociale p. es. sono già inscritti nel funzionamento dei programmi genetici anche umani e si differenziano da quelli di altre specie solo perché possono divenire consapevoli e quindi implicano il concetto di responsabilità. Il passaggio dalla soggettività alla relazionalità e poi all’interculturalità si snoda attraverso due direttrici: quella dell’esperienza per cui non è possibile provare emozioni - soprattutto gratificanti - se non con altre persone, in determinate condizioni ambientali e in un dato stato di salute. A questo proposito una serie di agenzie etico educative (sindacati, chiese, movimenti, gruppi, ecc.) perseverano nell’errore di non cogliere il mutato paradigma cognitivo dei nostri tempi per il quale l’elaborazione dei contenuti dell’apprendimento non solo parte dall’esperienza ma in essa si consuma. Lo sviluppo di una teoria dell’esperienza compiuta ha quindi presupposti diversi che entrano in rete e diventano patrimonio collettivo perché esperiti come funzionali in tempi reali alla propria qualità di vita. L’altra direttrice è la faticosa presa di coscienza -purtroppo ancora lontana dal vissuto culturale collettivo- che il fondamento di un cambiamento di mentalità collettiva e degli stili di vita collegati è possibile in persone che alimentano l’amore per sé e per la vita ed elaborano poi il senso di responsabilità verso il futuro di questa esperienza positiva che merita di essere trasmessa, perché in questo vi è o vi può essere un grande rinforzo, sia nel cambiamento degli stili di vita, sia nel mantenerne la costanza.
Sotto questo profilo la via della ‘natura’ ci sembra più netta e coerente delle riflessioni ideologiche. Infatti, non v’è dubbio che la pianificazione di linee educative e di progetti ecosostenibili siano compito di una politica lucida, ma pensiamo che solo a partire da ciò che ci dice della vita la natura, sia possibile evitare ambiguità e mistificazioni.

2. La mente sobria
Questa lunga premessa ci consente ora di entrare con maggiore concretezza nel rapporto tra identità e progetto esistenziale, cioè l’unico luogo dove la sobrietà può divenire stile trasformativo di una vita e di una cultura. In questa prospettiva la sobrietà può essere delineata come la competenza a sviluppare un’identità capace di rapporti costruttivi verso sé e verso il mondo, cioè di una canalizzazione maturativa delle energie psichiche a partire dall’amore.
Il vocabolario Devoto-Oli definisce la sobrietà: “Moderazione nel soddisfacimento degli appetiti e delle esigenze naturali’’. Volendo ampliare la definizione classica, si potrebbe dire che la sobrietà è uno stile di vita, personale e collettivo, che sa distinguere tra i bisogni reali e quelli imposti, che si organizza a livello collettivo per garantire a tutti l’appagamento dei bisogni fondamentali con il minor spreco di energia, che dà alle esigenze del corpo il giusto peso, senza dimenticare le esigenze spirituali, affettive, intellettuali e sociali della persona. Questo a livello di definizioni, ma se vogliamo veramente andare a fondo dobbiamo fare ancora qualche ulteriore riflessione. Non a caso il canone etimologico della “sobrietà” prende le mosse dal rapporto tra la persona e la bevanda inebriante . Infatti, finché il consumo della bevanda mantiene la persona in stato di piacevolezza e non tracima in riempimento di vuoti dell’identità o di bisogni narcotizzanti, è funzionale ad emozioni costruttive: sigilla un patto, celebra un evento, manifesta e condivide dei sentimenti. Ed è in questo rapporto il quale conferisce alle cose un significato e non trae invece identità dalle cose, rapporto espresso cristallinamente dalla tradizione sapienziale e mistica p. es. di OSHO: “si possiede davvero solo ciò che si usa, altrimenti se ne è posseduti” o a quella psicoanalitica di FROMM col suo celebre studio sul rapporto tra essere e avere. Questi processi dal punto di vista psicodinamico si descrivono come la competenza a vivere sobria-mente.
Collegato a questo processo -in realtà strettamente molto strettamente - vi è un altro tratto dell’adultità umana: e cioè che la responsabilità, verso sé e verso la vita (mondo, ecosistema…), è data dal passaggio, graduale ma costante, dalla superficialità dei progetti esistenziali alla loro profondità. La superficialità, che caratterizza i primi anni della nostra vita, è legata ad una strumentazione mentale fondata sul bisogno di immediatezza, di concretezza, di quasi impossibilità a progettare un futuro, sia pure a medio termine. La consapevolezza che ci è consentita, infatti, nella prima infanzia e, gradualmente, fino alla giovinezza, parte dal contatto (etim. : con il tatto) e quindi dall’esperienza della superficie visibile e concreta delle cose che solo la mediazione degli adulti può indirizzare verso un orizzonte dotato di senso. In quest’ottica, l’adultità viene segnata proprio dall’autonomia e dall’abitudine a superare l’esteriorità per coglierne l’intensità, cioè la profondità. È a questo livello che, non solo la persona ama consapevolmente la vita in tutte le sue forme -a partire dal come questo si esprime verso se stessa-, ma acquisisce quell’attitudine biofila dove ogni eccesso viene colto nella sua reale dimensione di distruttività rispetto a quel progetto di vita ecosostenibili che è invece l’orizzonte sia della vita che del desiderio di trasmetterla; questo è il senso della cura di farsi carico del futuro.

3. Partire dalla marginalità
Seppure schematicamente ci sembra importante fare due considerazioni che possono incidere in modo significativo per una analisi esistenziale della sobrietà. L’attenzione ai comportamenti coerenti col vivere sobria-mente ci sono stati sottolineati da due fonti principali: la marginalità sociale e ancor più quella legata alle patologie emarginanti, p. es. la malattia mentale o l’alcolismo. Proprio la riflessione sulla sofferenza mentale ha riproposto drammaticamente il problema dei vuoti esistenziali, dell’assenza di progetti legati all’amore per la vita propria e altrui. Qui, al di là delle forme specifiche legate a sostenere processi di ristrutturazione della personalità, si è reso evidente come l’attenzione alla povertà umana sia fondamentale per cogliere gli aspetti più evolutivi dell’identità stessa, e a comprendere come il saziarsi di “cose” non serve a rendere piena la vita. E mentre la rete creata artificialmente dal mondo delle immagini e della programmazione che aziendalizza perfino le vacanze, non produce cambiamento di rapporti con l’ambiente ma rafforza la banalizzazione dell’usa/getta di luoghi e persone, proprio dal mondo dell’alcolismo, si osserva l’esempio di un percorso di costruzione e di cambiamento dello stile di vita, che passa dalla persona alla sua famiglia e alle altre famiglie realizzando in modo concreto una evoluzione nei comportamenti responsabili, di reciprocità e d’amore; una cultura che si fa collettiva, che entra nel mondo cercando di dimostrare che ci si può ‘disamorare’ di qualcosa (in questo caso le emozioni legate all’abuso delle bevande alcoliche) per innamorarsi di qualcosa di più grande e profondo: il senso della vita, la testimonianza di vita, la gratuità, il dono, la cura, l’incontro con l’altro, con gli altri, l’amicizia… in una parola per praticare insieme il gusto pieno del vivere sobria-mente.
Un’altra considerazione è che nella cultura della sobrietà non hanno giocato un ruolo importante moralisti o filosofi, ma le donne, cioè la componente fino a tempi non lontano anche teoricamente marginale nella nostra società. L’esperienza storica del curare la vita dandole un senso sereno e perfino gioioso, nasce dalla grande capacità di saper gestire la povertà per far crescere la vita. Da questo prendersi cura sono nate poi le spinte ai nuovi valori della sostenibilità che, proprio dall’elaborazione femminista non solo del concetto di cura, ma proprio della sua esperienza nella vita quotidiana delle donne , ha tratto ispirazione e impulso.
Infine un’icona forte può venire dalla tradizione cristiana. Qui infatti troviamo che ogni eccesso (non solo del troppo, ma anche dell’insufficiente) implica la relazione col Dio di Gesù Cristo. Se infatti ciascuna creatura umana, uomo o donna, porta in sé l’orma del Dio vivente ed il creato è lo specchio della Sua presenza, allora vivere sobria-mente vuol dire far crescere la cura per la visibilità di questo Volto dell’Altro, mentre ogni comportamento contrario ne sfigura il Volto. Questo atteggiamento consente un’esperienza particolare, che la tradizione mistica ha chiamato sobria-ebrietas, una pienezza di vita che solo con mente sobria è  possibile attingere

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