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Alida Scalfi

Career Counselor e counselor biografico

ZETAFORM
sedi di Milano e Tione di Trento
Responsabile del processo di erogazione dei servizi
Responsabile del processo di progettazione
Attività di servizi al lavoro (counselling, orientamento, bilancio e certificazione delle competenze, valutazione del potenziale)

Articolo

Fare orientamento oggi
Ida Scalfi

Nei nuovi scenari politici, economici e antropologici è cambiato il significato e il senso di fare orientamento, attività che, negli anni, ha avuto funzioni e compiti diversi.

Nato nel 1909 con la psicologia del lavoro di Parsons, si è posizionato per decenni nel mezzo tra le esigenze e le caratteristiche delle persone e le esigenze e le caratteristiche del mercato, con una veste principalmente informativa oppure con una collocazione rigida in momenti socialmente definiti (passaggio da un ordine scolastico a un altro, momento della scelta professionale…). Tecnicamente si trattava di effettuare un matching tra persona e ambiente, sotto l’egida dello slogan “la persona giusta al posto giusto”, in un contesto votato alla meritocrazia e all’”eccellenza”. La relazione tra persona e ambiente era considerata di tipo lineare in quanto  si riteneva che il passato delle persone, le “esperienze pregresse” viste in termini materiali e attitudinali/valoriali determinassero il presente e il futuro professionale degli individui. Oltre alle ipotesi di adeguatezza dell’individuo rispetto al mercato, ci si muoveva in un ambito in cui le scelte erano accompagnate da figure tradizionali (la famiglia, l’insegnante, il parroco…) che invitavano a adeguare i propri desideri a un futuro socialmente prescritto o adeguato alle regole (anche morali) già stabilite.

Da una ventina di anni a questa parte, la ricerca psicologica e le mutate caratteristiche del contesto caratterizzato da scarsa predestinazione sociale dei destini degli individui, hanno iniziato a mettere in dubbio le capacità predittive delle variabili oggettive, osservando che individui appartenenti alla medesima tipologia, aventi storie simili, sviluppavano percorsi differenti in contesti completamenti disomogenei. L’attenzione si è allora spostata sulle caratteristiche dei singoli individui, puntando lo sguardo sulle differenze e sulle variabilità esistenti tra persone e contesti (per esempio la psicologia differenziale oppure le scienze di misurazione delle variabili psicologiche e tutti i test di personalità ancora ampiamente utilizzati negli anni 90). Ciò ha portato allo sviluppo del modello adattivo di orientamento, basato sull’uso di strumenti psico-attitudinali, che proponeva l’adattamento dei soggetti alle opportunità del territorio e il concetto di “persona idonea”, portato all’esasperazione dalla cronicizzazione della disoccupazione, che ha favorito l’idea di forzare i soggetti affinchè si adattassero il più possibile a ciò che il mercato offriva loro.

La crescente complessità degli ultimi decenni, ha dimostrato drammaticamente l’inefficacia di tale visione, spingendo nella direzione di un modello globale, capace di integrare prospettive sociologiche, economiche, psicologiche e pedagogiche che mettano in relazione la persona con la società: da un lato il soggetto, visto come un essere dinamico che si struttura in funzione di molteplici fattori, dall’altro la società, intesa come insieme di relazioni tra soggetti e gruppi. In questo contesto, l’orientamento esce dalle dinamiche dei paradigmi tecnico-procedurali, per inserirsi nelle logiche dei paradigmi dialogici-processuali, connotandosi come un processo nel quale si attribuisce senso e significato all’evoluzione di una storia, formativa e lavorativa, di un soggetto inserito in un determinato contesto.

Negli ultimi anni, la funzione strategica dell’orientamento è stata riconosciuta dal quadro normativo europeo ed italiano. Il ruolo dell’orientamento ne è derivato rafforzato, ampliato, innovato. Il vecchio modello che aveva più a che fare con le politiche passive di stampo assistenzialistico, è diventato, soprattutto a partire dalla riforma dei Servizi per l’impiego (1997) il protagonista delle politiche attive per il lavoro, acquisendo un ruolo educativo. E’ importante sottolineare questa connotazione educativa che trova nell’empowerment la propria centratura, “l’orientatore non supporta più soltanto in determinate fasi, ma ha compiti di empowerment, aiuta a costruire competenze di scelta, competenze progettuali, ascolta, informa, forma(…). La finalità generale ormai assegnata all’orientamento, almeno nei documenti e nelle ultime normative di riferimento, è dunque lo sviluppo personale e sociale dell’individuo e la sua capacità di far fronte alle transizioni che connotano l’evoluzione delle storie personali, mettendo in campo comportamenti conseguenti ed efficaci rispetto alle proprie decisioni e  convinzioni. Il processo di orientamento può allora essere letto come percorso  nel quale si attribuisce senso e significato all’evoluzione della storia formativa e lavorativa del soggetto e come tentativo di governo autonomo dei suoi momenti più significativi, in poche parole come un percorso di empowerment, di costruzione dell’identità e di significazione rispetto a sé e al mondo attorno”.  (F.Batini,G.Del Sarto, Raccontare store. Politiche del lavoro e orientamento narrativo, Carrocci 2007)

Troppo spesso però, invischiati in dinamiche standardizzate, ci si trova a operare, in qualità di orientatori, dentro un modello basato su una funzione formativa, più che educativa: analizzando a posteriori alcuni processi in cui mi sono trovata a operare, ho constatato di aver attivato molte volte più le mie abilità di problem solver che le abilità degli utenti, per esempio andando alla ricerca delle opportunità presenti sul territorio,  oppure proponendo corsi di formazione standardizzati, finalizzati al potenziamento di competenze cognitive.  E così si finisce per promuovere l’idea che per trovare lavoro sia necessario dimostrare di avere più competenze possibili: competenze trasversali, competenze specialistiche, frammentate, senza una progettualità interiorizzata di fondo. Basta guardarsi intorno per capire che questa non è una risposta sufficientemente adeguata alle grandi sfide che ci interpellano: esperienze lavorative frammentate che decostruiscono le identità dei soggetti; destini professionali sempre più incerti; diffusione sempre maggiore di sentimenti di paura e ansia legati al lavoro; precarietà professionale che porta a esistenze precarie, destabilizzate, senza diritti. La domanda che mi sono posta spesso, e che mi ha condotto alla Scuola di Counselor Biografico Arkè, è come posso io ripartire dalle persone? Come posso cambiare il mio sguardo? E più in generale, in che direzione si deve muovere l’orientamento? A quali modelli deve rifarsi? Con che strategie porsi nel complesso e caotico presente? Quali possono essere le vie nuove che aiutino a stare nell’incertezza?

Nel mio percorso in Arkè ho potuto attingere a pratiche educative trasformative, che mi hanno aiutata a cambiare e a modificare il mio sguardo: un lavoro su me stessa che mi ha riportato a me stessa, alla costruzione attiva e consapevole del mio percorso personale e professionale. La profondità con cui questa trasformazione è avvenuta, mi fa dire che è proprio dalle pratiche educative che bisogna ripartire. La scuola e il mondo della formazione in generale, non affrontano questioni fondamentali, non invitano gli studenti a porsi domande che obbligano a stare nell’incertezza, cioè a porsi domande che non hanno risposte certe e definitive. Seguendo la logica dell’efficienza e della produttività, si evitano il più possibili le questioni che non portano a una meta concreta. Oggi lo scopo dell’educazione è principalmente quello di fornire conoscenze, ma dato che ciò è evidentemente insufficiente, forse la pratica dovrebbe orientarsi verso percorsi intesi a coltivare il pensiero riflessivo, verso laboratori di pensiero, guidando ogni soggetto a pensare per sé per progettare la propria esistenza assumendosi le proprie responsabilità.  Edgar Morin parla di educare a vivere, trasformando le informazioni in conoscenza e la conoscenza in sapienza: in questo senso, parafrasando Morin, le pratiche di orientamento devono diventare “preparazione alla vita”, per permettere al soggetto di:
- Esprimersi pienamente nella relazione
- Scoprire se stesso
- Conoscere e accettare la complessità umana
- Sperimentare la comprensione umana e l’inclusione
- Affrontare l’incertezza

Morin individua nella  cultura umanistica, nella letteratura e nella poesia, il vero grande patrimonio di contributi e riflessioni sulla condizione umana perché ci offrono ciò che è invisibile alle scienze esatte. Il romanzo ci mostra tutta la complessità della vita degli individui, l’interpretazione dei ruoli, le difficoltà delle relazioni, le problematicità dell’io. La poesia ci offre l’oltre, ci introduce alla dimensione poetica dell’esistenza umana. Dice Morin: “Ci rivela che abitiamo la Terra non solo prosaicamente – sottomessi all’utilità e alla funzionalità - ma anche poeticamente, votati all’ammirazione, all’amore, all’estasi. Essa ci fa comunicare, attraverso il potere del linguaggio, con il mistero che è al di là del dicibile"

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