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La spinta alla relazione interpersonale risponde al bisogno/desiderio di trovare una gratificazione alle proprie istanze di natura biologica, psicologica, sociale o spirituale. Qui ci occupiamo di istanze dei rapporti interpersonali sollecitati dall’istanza psico-sociale, cioè quando il rapporto con qualcuno è in funzione dei bisogni sociali di una persona. Dal tipo di tali bisogni dipende la disposizione verso l'altro e la modalità del rapporto, che danno luogo al comportamento con l'altro.
Per assicurarsi quel dato comportamento il soggetto mette in atto determinate strategie che comprendono anche misure di sicurezza ( o “difese”)al fine di garantirsi una risposta gratificante cioè a soddisfazione del bisogno che sta alla base.
E’ necessario tener presente che ogni persona presenta un impasto diverso di tanti tipi di bisogno parte coscienti, parte invece inconsci. Quindi nessuna meraviglia se ciascuno deve scoprire la complessità dei propri bisogni relazionali, la predominanza dell’uno dell’altro, le reazioni che suscita.
Analizziamo ora tre di questi bisogni che sembrano più frequenti e rilevanti.
1) Bisogno di affiliazione o di dipendenza affettiva. Si manifesta nel desiderio di relazionarsi con una o più persone, in situazione di dipendenza, per averne affetto, protezione o per cameratismo. In genere prevale la componente affettiva; raramente quella sessuale. Tale bisogno è necessario e specifico dei primi anni di vita in rapporto alla madre. L'assoluta dipendenza del bambino dalla madre per soddisfare i bisogni fisiologici è percepita, già a quell’età, come dipendenza anche psicologica (il bambino rifiuta il seno se la madre è ansiosa: percepisce lo stato d'animo dalla madre e non può accettarlo perché non è autonomo, non può sopportare il rifiuto). In seguito si trasforma in dipendenza parentale, di amicizia, di affetto coniugale, di rapporto coi superiori. Tale bisogno è appagato quando l'individuo trova una persona con cui instaurare un legame affettivo, che sia garanzia di un appoggio di carattere continuativo. Negli adulti si concretizza spesso in un appoggio reciproco. Chi è dominato da tale bisogno cerca, nel rapporto con l'altro, non tanto un reale aiuto, quanto un legame che assicuri la presenza e l'interesse dell'altro. Il bisogno di affiliazione induce un comportamento di dipendenza.. Tale comportamento è negativo: la persona rimane insicura di sé e rifiuta di assumersi qualsiasi responsabilità, mentre facilmente la richiesta di affetto diviene in realtà un ricatto affettivo di tipo manipolatorio.
L'atteggiamento di dipendenza può essere descritto come la condizione dell’Io soggetto agli altri. E' l'accettazione acritica della guida altrui, senza discutere lo scopo e la qualità dell'aiuto ricevuto. La dipendenza consiste in un legame stretto che unisce un individuo ad un'altra persona (o a un gruppo) e che lo rende permeabile (cioè influenzabile suggestionabile) di fronte alle opinioni o all’importanza attribuita dell'altro. Questa relazione può configurarsi come un rapporto apparentemente costruttivo in quanto induce atteggiamenti di ascolto, di accettazione e di obbedienza. Tuttavia nella misura che risponde ad un bisogno di affiliazione diviene un rapporto distruttivo, in quanto l'altra persona rappresenta la fonte della propria sicurezza e contemporaneamente di frustrazione. Di qui le reazioni opposte di accettazione e di approvazione, o di ostilità e di rifiuto, secondo che l'altro gratifica o meno il bisogno di affiliazione. Queste dinamiche producono ambiguità, ambivalenza, diminuzione di autonomia.
La strategia e quindi la « misura di sicurezza », a cui ricorre chi deve soddisfare tale bisogno, è la seduzione (nelle varie forme: adulazione, vittimismo ecc.). Questa è normale nei bambini; se permane è sintomo d'immaturità, di mancata autonomia.
2) Bisogno di potere, di prestigio. E’ una istanza che sollecita il soggetto ad influire sulle altre persone orientandole in modo da poterne controllare o dirigerne il comportamento tenendo conto solo delle proprie esigenze (punti di vista, bisogni immediati ecc.), prescindendo dall’altro/altri come reali poli di relazione simmetrica almeno sul piano della dignità umana. Da un punto di vista psicodinamico, questo bisogno si collega alle tendenze aggressive, con forti componenti narcisistiche, e con una sovraestimazione della propria personalità. Una forma frequente in chi vive questo tipo di motivazione come predominante o molto importante è quella di identificarsi con quei valori o quei ruoli li rappresentano. La situazione può essere descritta come Io sopra gli altri.
Il comportamento di chi si sente oggetto di una relazione motivata da bisogno di potere/prestigio, assume generalmente i caratteri della controdipendenza e si concretizza mediante l'opposizione sistematica, spesso vissuta con aggressività e talora anche con odio. Si tratta quindi una relazione fondamentalmente negativa, che non costruisce rapporti, anzi li logora o li distrugge. Chi instaura rapporti sotto la spinta di bisogni di potere/prestigio vuole imporsi per provare a se stesso di essere capace di dominare; vuole dimostrare che non ha bisogno degli altri, e che può riuscire a vincere lottando « contro » gli altri. Si tratta di individui che in profondità sono ripiegati su se stessi e quasi ipnotizzati dal proprio bisogno di potere e di compensazione di insicurezze inconscie.
Questo tipo di bisogno ed i relativi comportamenti sono normali nei primi tentativi di autonomia e di affermazione personale in infanzia e preadolescenza: p. es. il caso dell’uso del « no » da parte del bambino che prende coscienza della capacità di usare di una certa autonomia, e la vuole affermare opponendosi agli adulti. Sorgono in lui, allora, due bisogni opposti: di essere accettato e amato, e di essere indipendente. L'incapacità di essere autonomo lo mette spesso in urto con l'ambiente e in conflitto con se stesso. L'equilibrio si raggiunge con un giusto compromesso tra i due bisogni. Se questo non si attua, avremo persone fortemente autoritarie oppure servili.
La controdipendenza si può definire come la situazione dell’Io contro gli altri , che comporta il rifiuto acritico dell'autorità, senza la capacità di assumersi le responsabilità del proprio ruolo e si esplicita nell'atteggiamento di colui che è preoccupato di sapere chi ha ragione, piuttosto che interessarsi di ciò che è giusto. I1 tipico atteggiamento di chi è dominato da questo bisogno consiste nel non ascoltare la replica dell'altro, ma nel pensare come rispondere per contraddirlo. Questo atteggiamento deriva da uno stato di insicurezza di sé.
La « misura di sicurezza » usata è l'aggressione. Per superare questo bisogno, si dovrebbe sopportare l'ansia che sorge nel dover accettare l'altro in quanto è diverso da noi. La collaborazione non si basa su un pieno accordo di idee, ma sull'accettazione della realtà umana dell’altro, nella disponibilità ad un confronto sereno e libero.
Chi non sa o non vuole accettare l'altro in quanto diverso da sé, talvolta finge di accettare, ma poi manipola l'avversario fino a convincerlo delle proprie idee. Infatti, in assenza di modelli interiorizzati di accettazione della diversità e della capacità di dialogo e di mediazione, possiamo assistere a brevi intervalli di apparente accoglienza/accettazione, cui però segue a breve una reazione di rifiuto (es. valori imposti, ma non compresi, in educazione; acquisti per suggestione della pubblicità, che non è informazione ma stimolazione artificiosa di bisogni...).
3) Bisogno di efficienza personale (achievement). Tale bisogno spinge la persona a raggiungere uno scopo prescindendo assolutamente dalla personalità altrui, ma focalizzando tutte le energie appunto sul conseguimento dei propri obiettivi. In pratica avremo persone che stanno attentissime alle procedure che assicurano p. es. una immagine positiva o anche dei risultati giudicati ottimali, ma in questo scenario gli altri sono strumentalizzati al raggiungimento dei propri scopi. Si assiste perciò ad una indipendenza del soggetto che è spinto da questa motivazione fino a pervenire di fatto al rifiuto del rapporto con gli altri.
La misura di sicurezza è l'evasione cioè l’ Io a prescindere dagli altri. Infatti l’evitamento di ogni coinvolgimento personale facilita il conseguimento degli scopi, senza fare i conti appunto con la soggettività altrui.
Ciascuno dei tre bisogni descritti fin qui, se è troppo intenso, disturba il rapporto interpersonale. In ognuno di noi sono presenti tali bisogni, ma in genere uno di questi è dominante. Il processo maturativo richiede appunto il graduale superamento di questi tre bisogni per dar luogo ad un'altra disposizione, che è indice di maturità e fonte di promozione della vera libertà,cioè la capacità di rapporti di interdipendenza o di reciprocità.
Quando una persona, sia pure all’interno di relazione di reciprocità, riveste un ruolo di responsabilità (ma può valere in diverse aree) si può pensare ad una sollecitazione fondata su di un bisogno di efficienza personale costruttiva o positiva.
In ogni persona coesistono bisogni legati allo sviluppo della soggettività e che sono piuttosto di tipo individualistico (essere se stesso, essere libero) e altri che aprono alla socializzazione (compagnia, collaborazione, simpatia, amore). Il normale processo di maturazione segna una graduale affermazione dei bisogni sociali, avvertiti come una maggiore valorizzazione della personalità ( p. es. la rinuncia a certe libertà viene compiuta in vista del legame di coppia o anche dell’impegno di appartenenza ad un istituto religioso, ad un gruppo a lungo termine quando si prevede che questa scelta comporti vantaggi compensatori rispetto alla rinuncia). L'inserimento efficace nel gruppo avviene quando il soggetto vede che solo così è possibile un fruttuoso scambio reciproco, senza per questo rinunciare alla propria personalità. Spesso le istituzioni non rispettano la personalità dei singoli. L'unione e il consenso tra i membri consiste in un « sentire insieme », il che non equivale a pensare tutti nello stesso modo. Chi è animato dal desiderio di un'efficienza personale armonizzata con la promozione dei valori dei membri e degli interessi del gruppo, assume un atteggiamento di generosa e di larga interdipendenza. I1 rapporto interpersonale è caratterizzato dal non-direttivismo, che implica tolleranza, lealtà, capacità di tollerare le frustrazioni, basso tasso di narcisismo.
OSTACOLI ALLA COMUNICAZIONE
Comprendere una persona è solo una condizione preliminare per rispondere alle sue attese. In questa seconda fase parlando del rapporto interpersonale, sintetizziamo come i nostri limiti (specie se non conosciuti o controllati) e gli eventuali difetti, ostacolano la relazione e quindi distorcano la comunicazione. Ciò che si richiede da chi ha autorità ( Superiore, formatore, direttore spirituale ecc.) non é che sia esente da tutti i difetti ma che voglia prendere coscienza delle proprie reazioni di fronte agli altri. Tale presa di coscienza può essere facilitata dall'impegno personale nell'osservarsi nelle diverse situazioni e dal tener conto di quanto gli altri ci dicono di noi stessi. Un aiuto più sicuro può venire da periodiche fasi di supervisione da parte di un esperto nelle dinamiche interpersonali oppure dalla partecipazione a gruppi di formazione al dialogo/comunicazione e di supervisione .
Gli ostacoli che possono compromettere una fruttuosa azione di aiuto nel dialogo sono ovviamente molti. Accenniamo a volo di corvo (...riferimento alla legenda di s. Benedetto!) i più comuni.
a) DA PARTE DEL SUPERIORE/FORMATORE
1) la carica affettiva. Non è raro che i religiosi nutrano verso l’autorità un sentimento o atteggiamento di affetto che può diventare sentimentale o anche sensuale. In certi casi si verifica un vero « transfert » (= proiezione di sentimento originariamente rivolti ad un genitore su di un’altra figura adulta) ; più spesso si tratta di un orientamento affettivo diretto sul superiore, che è visto come persona accogliente e comprensiva. C'è il rischio che, nelle disposizioni del soggetto, il superiore sia vissuto come una sorta di “maestro delle elementari” o di camerata! Tale situazione può riuscire sterile come lavoro di maturazione umana e spirituale. Un aiuto per superare la difficoltà, il superiore lo può trovare sia cercando di verificare la risonanza che hanno in lui le richieste di affetto dei religiosi, sia nel confrontarsi con rapporti più estesi rifuggendo il paternalismo/protezionismo verso uno o pochi religiosi, sia infine esplicitando con l’interessato la inappropriatezza dal punto di vista maturativo di questo modo di porsi.
2) i problemi personali non risolti. Ognuno di noi, anche se gerarchicamente rivestito di autorità, può scoprire in sé, al contatto con persone che presentano a lui determinate difficoltà, problemi personali non ancora risolti. In tali casi riesce difficile al superiore rimanere oggettivo e imparziale nei suoi giudizi, ed è portato ad essere molto tollerante, fino a diventare complice, delle disposizioni dell'individuo. Si pensi a chi ebbe una infanzia infelice, un'educazione oppressiva, esperienze negative, ecc. Quando il superiore si accorge di questa dimensione credo abbia il dovere morale di farsi aiutare da uno psicoterapeuta competente, con molta riservatezza e onestà.
3) la proiezione. Si tratta d'un meccanismo di difesa, in forza del quale il superiore attribuisce al soggetto le proprie disposizioni d'animo. Se il superiore è una persona inibita di fronte alla sessualità, o diffidente dell'autorità, o ossessionata per l'ordine, sarà portato a vedere anche nel soggetto gli stessi atteggiamenti. Anche qui, una volta consapevoli, dobbiamo farci aiutare professionalmente e vigilare per evitare che le nostre proiezioni distorcano sistematicamente le valutazioni ed i rapporti, inquinando così il clima della comunità.
4) l'angoscia. Questa insorge quando il superiore non riesce ad assolvere fino in fondo il proprio dovere di pastore o ha questo vissuto oppure vive conflitti troppo intensi e prolungati. Ogni stato d'angoscia porta facilmente a reazioni esagerate. Tale atteggiamento si riscontra specialmente in chi ha avuto un'educazione troppo rigida, in chi non ha raggiunto una normale maturità affettiva, in chi non ha risolto i problemi di fondo oppure in chi è esposto a situazioni troppo “tese” per un tempo troppo lungo. Non dobbiamo sottovalutare queste indicazioni perché potrebbero portarci a derive depressive e altre disfunzioni. Anche qui è necessario prendere decisioni che possono andare dal ricorso ad uno psicoterapeuta o psichiatra fino alla rinuncia al compito istituzionale.
5) l'atteggiamento narcisistico. Lo si può riscontrare nei casi in cui il superiore è preoccupato di se stesso, del suo ruolo, della riuscita nella sua attività, di salvare la faccia, ecc... In questo stato d'animo egli non riesce ad accettarsi, ad essere autentico, non può essere disponibile per ascoltare e accettare l'altro. Oltre ad un ricorso ad un professionista qui può essere di vero aiuto una direzione spirituale competente e libera.
6) la rigidità mentale. La si riscontra nel superiore il cui sistema ideologico è strutturato in modo tale da costituire parametri fissi per valutare e catalogare i contenuti trasmessi dall'interlocutore. Si è naturalmente portati ad attribuire un alto valore affettivo alle proprie affermazioni. La soggettività è la espressione che ci fa uomini, ma è anche un limite: la reazione è in funzione della nostra esperienza e della nostra struttura.
Questi ostacoli, che sono presenti nel tessuto personale del superiore, sono per lo più legati all'immagine che egli ha di se stesso. Questa è come un filtro che permette di accettare o costringe a rifiutare l'altro. L'immagine di sé è il paradigma su cui si struttura il rapporto interpersonale. Di qui la necessità di conoscersi e di accettarsi come si è. Tale atteggiamento ci permette di accettare la realtà e di trasformarla in fattore di sviluppo personale. Esso dispone soprattutto ad accettare nella loro singolarità e diversità.
b) DA PARTE DELL'INTERLOCUTORE
E' opportuno rendersi conto che, in modo più o meno cosciente, lo stesso interlocutore può rendere difficile una comunicazione aperta e fruttuosa col superiore. Le principali cause di distorsione provenienti dal soggetto sono:
1) il suo sistema ideologico già fissato, in base al quale egli presenta il suo pensiero in una forma che è chiara e organica per lui, ma non necessariamente per gli altri e comunque viene vissuto come “non modificabile” “non discutibile”...
2) la tendenza a sedurre l’autorità. Essa può essere cosciente e intenzionale, oppure inconscia (come spesso si verifica nelle persone isteriche) con atteggiamenti di eccessiva docilità e passività. Il superiore aiuterà all'interlocutore a comprendere che deve rendersi indipendente e saper rinunciare ad atteggiamenti infantili e egocentrici.
3) il transfert, in forza del quale il soggetto rivive, nei confronti del superiore, i sentimenti di affetto o di ostilità che prova (o ha provato) per i genitori. Questo processo è facilitato dalla figura « paterna » del superiore, che può giungere fino allo stato di ambiguità nell'animo del soggetto, il quale ravvisa nel superiore una figura che associa in sé l'immagine del padre e quella della madre.
4) reazioni di difesa e di aggressività nei confronti di chi riveste un ruolo autorevole, proprio perché ha la possibilità di entrare nel mondo intimo del soggetto e di rendergli evidenti gli sgradevoli della sua personalità o anche quelli contrari all'immagine positiva che egli s'era fatto di sé. Il superiore eviterà di porre all'inizio questioni delicate o urtanti: deve aver pazienza e saper aspettare. L'aggressività ha un suo significato: è una componente essenziale in un rapporto di dipendenza (e anche in quello affettivo), e spesso non è rivolta direttamente al superiore, ma ad altre persone che vengono vissute dal soggetto come ostili o condannabili. D'altra parte, queste reazioni possono anche essere sintomo di vitalità e di autonomia, come quelle dell'adolescente nel processo di liberazione dalla protezione familiare.
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