Articolo
Restiamo lucidi, serbiamo gentilezza, attenzione e cura
Tutto quello che viviamo ci richiama all’evidenza del nostro trovarci esposti gli uni gli altri, quindi nell’evidenza che la cura di noi stessi è cura d’altri, e la cura d’altri è cura di noi stessi.
Ci troviamo chiamati in un circuito di responsabilità, prossimità attente, pudori e ritegni.
Sentiamo bisogno e desiderio di corpi vicini e necessità di distanze di rispetto; siamo chiamati a lontananze... dedicate come abbracci, a lasciarci... perché ci vogliamo bene. Distanze come presenze, allontanamenti per non essere indifferenti. Mentre tanti, per lavoro di cura, restano esposti e vicini a corpi segnati, sperando d’essere protetti e di fare sentire in una veglia buona.
Il virus tocca tutti, non fa differenze, arriva ovunque. Una grande “messa alla prova” della nostra capacità di mettere in comune la vita, e insieme di preservarla. Insieme, appunto.
Fragili e incerti, sorpresi tutti. Non è tanto questione di diritti, interessi, meriti. Ascoltiamoci bene, dentro e tra noi, vediamo “cosa vale” e “cosa resta” al di là delle preoccupazioni “della vita di prima”.
Quali sogni, quali speranze, quali attese?
Tempo d’ascolto, di ritrovamento, di nostalgie buone e di “setacci”. Tempo di veglia, reciproca, a volte solitaria.
Dopo si dovrà iniziare, di nuovo, soprattutto nuovi, nel nuovo.
Ben al di là di respiri corti o pensieri un po’ ottusi di “recupero” di ritardi, di “ripristino” (di quale normalità e procedura?) di ripianamento (di debiti?), di “ripresa". Ci incontreremo sul trovato, sullo scoperto, sull’essenziale, su ciò che ha resistito, sulla promessa, e certo anche sulle ferite, e sulle sofferenze. Che ci accomuneranno figlie e figli feriti e grati, affaticati e dediti.
Quanto sarà prezioso serbarci e coltivarci un poco nei pensieri e negli occhi gli uni degli altri!
Intanto restiamo lucidi, restiamo nel vivo, serbiamo gentilezza, attenzione e cura.